ufficio open space con grande scrivania centrale e tre persone che lavorano

Ritorno in ufficio: cosa ne pensano i CEO delle grandi aziende?

Il lavoro da remoto è stato un passaggio praticamente obbligato dall’epidemia di coronavirus. Come conseguenza dei vari lockdown, molte aziende sono passate da modalità di lavoro completamente in presenza al lavoro 100% da remoto senza possibilità di scelta. È vero anche che la tendenza del lavoro agile, il cosiddetto smart working, era già stata sperimentata con successo da alcune aziende anche prima della pandemia. Il coronavirus non ha fatto altro che accelerare trasformazioni già in corso nel modo di concepire e di approcciarsi al lavoro d’ufficio. Con il progredire delle campagne vaccinali in tutto il mondo e una generale flessione del numero dei casi di Covid, inizia a farsi strada il pensiero di un ritorno alla normalità e, quindi, anche di un ritorno in ufficio nella modalità pre-pandemica del lavoro in presenza. Ma qual è la posizione di aziende e dipendenti su questo argomento? L’esperienza dell’ultimo anno e mezzo avrà conseguenze significative anche sulla futura organizzazione del lavoro? Vediamo insieme cosa ne pensano i CEO delle grandi aziende.

I CEO che spingono per il rientro in ufficio

Non a tutti è piaciuto il lavoro da remoto. L’amministratore delegato di Goldman Sachs, David Solomon, si è espresso abbastanza duramente nei confronti dello smart working definendolo “un’aberrazione che correggeremo il prima possibile”. Secondo Solomon, il lavoro a distanza ha privato i dipendenti di utili occasioni di crescita e di formazione, soprattutto nel caso delle nuove generazioni di lavoratori che hanno cominciato in azienda da remoto senza avere modo di vivere la cultura aziendale. Della stessa opinione è il CEO di Barclays, Jes Staley, che prevede di far rientrare in ufficio entro fine anno tutto il suo staff di 80.000 persone. Anche il CEO di JPMorgan Chase & Co., Jamie Dimon, auspica il rientro del personale in ufficio da settembre 2021. Secondo Dimon, lo smart working avrebbe causato un calo della produttività, in particolare il lunedì e il venerdì.

Le grandi aziende tech sono pronte a rendere lo smart working permanente

Se è vero che lo smart working può avere un impatto negativo sui dipendenti soprattutto per quanto riguarda gli effetti sull’umore e l’aspetto umano del contatto con i colleghi, ha avuto indubbiamente anche dei risvolti positivi e molto apprezzati dai dipendenti – vedi il risparmio di tempo e denaro per il commuting, la maggiore flessibilità e conciliazione degli impegni con la vita privata – e che i dirigenti delle aziende non possono non considerare. È quello che hanno fatto i CEO di grandi aziende come Facebook, Twitter e Slack, la cui vocazione tecnologica permette loro di abbracciare con più serenità il lavoro da remoto anche in maniera permanente. Il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, ha intenzione di permettere ai suoi dipendenti di lavorare da casa anche quando sarà sicuro rientrare in ufficio. L’azienda ha detto ai suoi impiegati che “chiunque ricopra un ruolo che gli permette di lavorare da casa, potrà farne richiesta”.

due ragazze e una ragazza guardano un computer

Il “new normal” di Google: soluzioni ibride e flessibili

Si sta facendo largo presso molte aziende l’idea di un compromesso tra lavoro in presenza e da remoto. Già da dicembre 2020, Google si prepara al “new normal”: un modello ibrido che permetterà ai dipendenti di lavorare da casa 2 giorni a settimana, mentre gli altri 3 saranno “giorni di collaborazione” da svolgersi in presenza.

Anche in Italia ci sono esempi di aziende che hanno scelto la via ibrida per il rientro in ufficio. Tim, ad esempio, si prepara ad una vera e propria rivoluzione dell’ufficio. Non solo un mix tra lavoro agile e in presenza ma spazi di lavoro completamente ridisegnati in ottica smart: meno sedi e uffici direzionali, postazioni di lavoro condivise tipo co-working e prenotabili tramite l’app. Già firmato un accordo con i sindacati secondo cui a seconda dei ruoli i dipendenti potranno scegliere se lavorare 2 giorni da casa e 3 in ufficio oppure a settimane alternate.

Quando i dipendenti non sono d’accordo: il caso Apple

Non sempre, però, c’è stato un accordo tra le parti com’è successo in Tim. È il caso dei dipendenti Apple che hanno risposto alla comunicazione aziendale sul rientro in ufficio con una lettera interna in cui hanno espresso il loro disappunto per il fatto di non essere stati ascoltati ma anzi addirittura ignorati dall’azienda. La lettera dei dipendenti al CEO Tim Cook è trapelata ed è stata pubblicata su The Verge. A quanto pare, Apple ha deciso di adottare la via ibrida alla Google chiedendo ai dipendenti di tornare in ufficio almeno 3 giorni a settimana. I lavoratori dichiarano di non essere stati interpellati nelle decisioni comunicate dall’azienda: secondo loro, i successi conseguiti durante la pandemia dimostrano come lo smart working non abbia pregiudicato la produttività dei team ma anzi l’abbia incrementata e chiedono di poter scegliere in autonomia se lavorare da casa o in ufficio.

logo apple sulla facciata di un edificio

Insomma, la “normalità” a cui dovremmo ritornare a breve potrebbe essere molto diversa da quella che ricordavamo. L’esperienza della pandemia ha rivelato che il lavoro da remoto non pregiudica la produttività ma, in alcuni casi, la migliora addirittura. Il dato più importante che è emerso e quello sul quale sembrano essere tutti concordi è il fatto che la flessibilità sul lavoro non è più vista come un ostacolo ma anzi come un vantaggio strategico sia per le aziende che per i lavoratori. Gli uffici del futuro si prospettano sempre più smart, diffusi e condivisi.

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