Ci diciamo spesso che il lavoro non è tutto nella vita e che ci sono cose ben più importanti come gli affetti, la famiglia, il benessere mentale e fisico. Tuttavia, siamo inseriti in una società ultra-frenetica, circondati da stimoli e contenuti che ci inducono a pensare il lavoro sia non solo fondamentale ma, addirittura, che sia il metro per valutare il nostro valore personale. È la cosiddetta hustle culture. E nasconde seri pericoli per la salute.
Cos’è l’hustle culture e come ci siamo finiti dentro
L’hustle culture è la tendenza a pensare che la cosa più importante nella vita sia raggiungere obiettivi professionali e, per farlo, sia necessario lavorare più duramente possibile. Le possibilità di successo dipendono dalla tenacia e dalla disponibilità a sacrificare sonno, affetti, tempo libero e vacanze in nome del lavoro.
Non è, certo, una novità nel mondo occidentale capitalista. La cultura americana è intrisa dell’ideale del self-made man e del successo personale tramite il duro lavoro. In Unione Sovietica lo stacanovismo veniva promosso come virtù per incitare i lavoratori a dare il massimo per un’ideale più alto.
Negli ultimi anni questa visione ha preso di nuovo forza, visto che nella società moderna – tecnologica e iperconnessa – i confini tra vita personale e lavoro sono sempre più labili, tanto che al lavoro finiscono con l’essere associate la soddisfazione personale e, in definitiva, la felicità dell’individuo.
Le conseguenze sono atteggiamenti stacanovisti secondo i quali essere super impegnati, fare straordinari continui e sacrificare la vita privata per il lavoro siano non un problema ma, anzi, qualcosa di cui vantarsi.
I pericoli del superlavoro
Nella hustle culture le persone sono abituate a lavorare senza sosta, anche al di sopra degli accordi contrattuali per un confuso senso del dovere e chi si limita strettamente ai propri orari o si prende una pausa viene giudicato e visto come un perdente o un fallito.
A rafforzare questa narrazione contribuisce anche il mito del “lavoro dei sogni” con la citazione abusata sui social “Scegli un lavoro che ami, e non dovrai lavorare neppure un giorno in vita tua”. Benché fare un lavoro che piaccia contribuisca al benessere personale, il superlavoro e la cultura del “chi si ferma è perduto” innescano inevitabilmente meccanismi di insoddisfazione poiché ci sarà sempre qualcos’altro da fare, qualche aspetto da migliorare, specie se si confronta la propria vita con quella degli altri sui social.
Il rischio principale è quello del burnout, una sindrome legata allo stress da lavoro che si manifesta con stanchezza, ansia, crisi di panico e, nei casi estremi, depressione.
L’importanza di staccare
Primo passo per contrastare l’hustle culture e la visione del lavoro come sfida continua è quello di ricercare un migliore equilibrio tra vita professionale e personale. Lo si può fare innanzitutto cominciando a riappropriarsi consapevolmente del proprio tempo, riconoscendo il valore positivo della pausa – meglio ancora se disconnessa da internet e a contatto con la natura – e destigmatizzando “lo stacco” dal lavoro, iniziando a godere serenamente del proprio tempo libero senza sentirsi in colpa per aver preso un giorno di ferie o una vacanza.
Siamo forse tutti d’accordo con il principio che bisogna “lavorare per vivere, non vivere per lavorare” ma forse è arrivato il momento di fare qualcosa per smorzare la cultura del lavoro frenetico, del successo ad ogni costo e della produttività come metro di giudizio del valore personale.